Quando la mente è concentrata su un compito specifico come leggere o conversare entra in uno stato che si può chiamare “di base” in cui i pensieri vagano, si presentano fantasie, affiorano ricordi e varie aree del cervello mostrano un’attività leggera. Se a questo punto al soggetto viene presentato un compito si assiste a una sorta di comunicazione: quelle regioni riducono la loro attività e altre si mobilitano più massicciamente. A questo tipo di modalità di funzionamento di base nel nostro cervello ha prestato particolare attenzione un gruppo di ricercatori che hanno esaminato oltre 700 persone di ogni età, alcune delle quali affette in vario grado di demenza. Sfruttando diverse tecniche di bioimmagine, dalla PET alla risonanza magnetica funzionale, ed elaborando i dati ottenuti con sofisticati strumenti statistici e modelli bioinformatici i ricercatori hanno trovato un notevole e inattesa convergenza: le aree attive nella modalità di base sono quelle in cui si accumulano di più le placche amiloidi e le strutture fibrose che devastano il cervello delle persone colpite da Alzheimer. Ma non solo. Quando a un paziente affetto da Alzheimer si chiede di concentrarsi su un compito, questa modalità di base, invece di attenuarsi aumenta. E’ stato così ipotizzato che l’insorgenza della patologia sia in primo luogo da mettere in relazione agli schemi di funzionamento di base del cervello. A questi schemi corrisponderebbe poi sul piano biochimico una cascata di eventi metabolici che sfocerebbe nella malattia. La scoperta è importante perché se confermata potrebbe aiutare a comprendere meglio la malattia e soprattutto in prospettiva a monitorare l’attività cerebrale di base indentificando segni premonitori in soggetti ancora giovani e sani.