“Spesso la capacità di affrontare le prove è solo un problema di atteggiamento”
Un vita senza esami e discorsi in pubblico non sarebbe un paradiso?
Non esiste vita in cui non si debbano affrontare delle prove. Quando il mio gatto esce di casa e si trova davanti un cane ecco che anche lui si trova di fronte a una prova. Lui però a queste situazioni è abituato per cui riesce a gestirle al meglio.
Come mai gli uomini in queste situazioni hanno delle difficoltà?
Pensi a uno studente che domani pomeriggio dovrà sostenere un esame importante. Al più tardi domattina il suo corpo comincerà a farsi sentire. Il meccanismo dello stress si mette in moto e con la produzione di cortisolo l’attività di stomaco e intestino rallenta notevolmente: non ha più fame. Tuttavia dato che viene stimolata la peristalsi nell’ultimo tratto intestinale, il ragazzo è costretto a frequenti visite alla toilette. È una situazione che tutti conoscono. Questo stato di allarme è importantissimo. Ora l’esaminando si presenta davanti all’esaminatore con un livello di attenzione maggiore, cosa che non sarebbe successa se si fosse tranquillamente seduto a fare colazione sorseggiando un caffè.
Fin qui tutto bene: ma perché qualcuno durante gli esami manifesta veri e propri blackout?
Quando il meccanismo dello stress reagisce in maniera eccessiva provoca disturbi della memoria, oppure sono le mani che si bloccano e non si riesce più a scrivere: una cosa del genere mi è capitata con una studentessa durante un esame scritto. In quel caso il problema era un erroneo adeguamento cognitivo-emozionale: l’atteggiamento della studentessa nei confronti della propria capacità di affrontare la prova aveva deciso in anticipo che non sarebbe stata in grado di venire a capo di quella situazione.
Come nascono questi atteggiamenti negativi?
Nella maggior parte dei casi hanno origine da un insuccesso precedente. Nel caso specifico della studentessa, poco tempo prima, non era riuscita a passare un esame e poi aveva sviluppato delle strategie cognitive controproducenti al fine di superare questa sua esperienza. Quanti ansiosi commettono l’errore di dare un peso esagerato all’esame successivo, di puntare tutto su di esso, di legare tutto il loro lavoro all’esito di quella singola prova.
Ma non è forse più esatto concentrarsi interamente su una cosa?
Sì, ma bisogna farlo bene. Gli ansiosi si concentrano ma non sulla situazione in sé. Cominciano piuttosto a temere le conseguenze presunte, e quindi anticipano gli esiti negativi che si avrebbero in caso di insuccesso. Invece dovrebbero sempre avere davanti agli occhi la propria situazione: dove voglio arrivare? Fino a dove posso arrivare? In che modo in passato sono riuscito a gestire una situazione analoga? Chi vuole resistere alle situazioni in cui si trova davanti a una prova deve attingere ai successi precedenti.
Per quale motivo alcuni non riescono ad attingere da questi successi?
Il problema ha un nome preciso: si chiama perfezionismo. I perfezionisti vogliono sempre fare meglio: ogni volta hanno pretese troppo alte e per questo motivo si trovano di continuo nella condizione di chiedere troppo a se stessi. Quando fanno qualcosa di buono per loro significa solo che la volta successiva dovranno fare molto meglio.
Come si fa a diventare perfezionisti?
Spesso l’atteggiamento nasce in famiglia. Un esempio: la tipica famiglia del ceto medio pretende che i figli si laureino, qualsiasi altro percorso di studio non viene preso in considerazione.
La capacità di ottenere risultati eccellenti però è considerata come una virtù dalla nostra società.
È proprio questo il problema. Quando un impiegato si trova a dover svolgere tre o quatto compiti può cominciare a lavorare un po’ per volta fino a portarli a termine tutti. Se però è predisposto al perfezionismo ecco che per lo svolgimento dei singoli compiti impiegherà troppo poco tempo pretendendo da se stesso di poter fornire una prestazione ottimale nel più breve tempo possibile. Questa è una situazione popolarissima in cui l’individuo naturalmente viene colto dallo stress. All’improvviso poi nella sua mente affiora un pensiero “non ce la farò” ed ecco che la spirale negativa si mette in moto. Teme di fare una figuraccia, comincia a ricordare i fallimenti, invece di pensare alle esperienze positive e alla fine non riesce a combinare niente. Anche questa è ansia da prestazione.
Quindi questa ansia ha a che fare con il modo in cui organizziamo la nostra vita?
Si, è uno degli aspetti. I perfezionisti si vanno a infilare in una situazione in cui non dispongono di appropriate strategie per far fronte ai compiti stabiliti. Ecco che questi compiti diventano essi stessi dei problemi.